Nuovi approcci percettivi alla realtà contemporanea e agli oggetti che ne fanno parte, per una critica e una riappropriazione di essi: con quest’idea nasce il Nuovo Realismo, nel 1955.
L'artista di questo mese è il francese Yves Klein, nato nel 1928, che tramite l'uso di tre semplici colori ci porterà alla scoperta del mondo orientale, al quale egli si sentì intimamente legato. Alcuni viaggi in Asia e la pratica dello judo lo avvicinarono ben presto alla cultura giapponese e alla spiritualità buddista, anche se nel corso degli anni il mondo cristiano-cattolico ebbe per lui particolare rilevanza.
Nel 1954 Klein iniziò ad usare la pittura per realizzare tele monocrome, concependo pochi anni dopo un suo personale colore, l'IKB (International Klein Blue). Il profondo amore per il colore lo portò a ricercare un metodo per conservarlo nello stato di massima purezza, nel tempo: scoprì che utilizzando una resina sintetica si potevano mantenere a lungo intatte la luminosità e la vividezza del colore. Il risultato, il blu Klein, è la rappresentazione dello spazio, è il colore dello spazio stesso, e serve a rendere visibile il materiale mettendolo al centro dell'attenzione, eliminando ogni individualità e riferimento all'umano. Nell’avanzare del suo percorso la tendenza ad eliminare dalle tele ogni riferimento alla specificità umana si fece sempre più accentuata; per questa ragione, invece che stendere il colore con i pennelli tradizionali, provò ad utilizzare rulli e spugne, rinunciando alla pennellata come firma.
Nella mostra «Il vuoto», organizzata a Parigi nel '58, e nell'opera «L'albero: grande spugna blu» ('62) appare chiara l'importanza attribuita al colore; in quest’ultima Klein rappresentò la materia che assorbe tutto lo spazio e tutto il materiale, come conseguenza di quanto sperimentato già nel '58: la stanza a disposizione per «Il vuoto» era infatti completamente spoglia e bianca e soltanto in alcuni punti c'era del blu sulle pareti. Lo scopo era di rendere percettibile il materiale, lo spazio e la pura sensibilità dell'artista stesso, accentuando quell’immateriale che spesso sfugge, ma che è di fondamentale importanza.
Nel corso degli anni si accentuò un distacco nei confronti dell’Umano: le impronte su carta e le antropometrie vennero sì realizzate usando il corpo femminile, ma l'artista nemmeno lo toccava, lasciando agire le modelle senza mai intervenire in prima persona. Il risultato è un corpo femminile senza testa: la presenza dell'essere umano è negata completamente. Ciò che contava erano l'energia, la vita ed il colore. Il tutto in forma anonima.